Sono sempre piuttosto restio ad affrontare temi che possano essere interpretati (o strumentalizzati) politicamente, preferendo restare sul campo tecnico e nel settore di mia competenza, sul quale, dopo circa un terzo di secolo di attività, ho acquisito, spero, una certa competenza.
In questo caso il compito che mi appresto a svolgere è – da questo punto di vista – piuttosto delicato e temo che le mie conclusioni attireranno le critiche di chi non ha la capacità o l’onestà intellettuale di valutare i fenomeni economici in maniera imparziale, a prescindere dal proprio orientamento politico, dalla vulgata vigente e dalla conseguente necessità di ottenere consenso attraverso l’adesione al “mainstream” più trito e banale.
Lo spunto per questo intervento mi è stato fornito dalla recente emissione di BTP Italia 2025, indicizzati all’inflazione. Il titolo, emesso a condizioni piuttosto vantaggiose, ha suscitato un fortissimo interesse tanto degli investitori “Retail” ai quali sono stati dedicati i primi 3 giorni di sottoscrizione, quanto di quelli “Wholesale”, che hanno avuto solo la giornata di giovedi 21 maggio per piazzare i propri ordini.
Gli acquisti complessivi dei privati hanno sfiorato i 14 miliardi, mentre gli investitori istituzionali hanno piazzato ordini per un importo prossimo ai 20 miliardi di euro ma sono stati soddisfatti solo per 8,3 miliardi, portando il controvalore finale emesso a circa 23 miliardi, il massimo mai raggiunto da questo tipo di emissioni.
Una certa parte dell’appeal dello strumento, specie per la clientela privata, è da ricercarsi nel generoso raddoppio del premio a scadenza per chi deterrà il titolo per tutti i 5 anni, ma, anche, dalla dichiarazione del Tesoro in merito all’utilizzo delle rivenienze per la copertura delle spese generate dall’emergenza pandemia. Gli italiani hanno in qualche modo capito di poter coniugare un investimento per loro conveniente con il senso di unità nazionale e di solidarietà generato dai tragici eventi dei mesi scorsi.
Per gli operatori qualificati, invece, l’interesse è stato generato semplicemente dalle buone condizioni economiche, con un premio piuttosto sensibile sugli strumenti della specie disponibili sul secondario ma anche su quelli “plain vanilla” rappresentanti la curva dei tassi del nostro debito. I lead manager (3 banche italiane ed una francese ben radicata nel nostro paese) hanno fatto indubbiamente un ottimo lavoro e si può prevedere un mercato secondario vivace e liquido, sia sulle piattaforme elettroniche “Retail” che sui circuiti di negoziazione OTC.
Fin qui i fatti relativi all’emissione. Gli italiani avevano liquidità da investire.
Aggiungiamo un’altra considerazione. Nel mese di marzo le nuove giacenze depositate sui conti correnti dagli italiani sono state pari a 16,8 miliardi, quasi il quadruplo della media mensile del 2019 ed il 254% in più di quanto registrato nel marzo del 2019 (dato forse più significativo ai fini del confronto in ragione di una certa stagionalità del fenomeno).
Dunque, nel periodo più buio della crisi e all’uscita (speriamo definitiva) da quest’incubo, le famiglie italiane, descritteci ogni giorno sui media in lotta per la sopravvivenza, hanno incrementato sensibilmente le giacenze liquide ed hanno investito come mai era successo nello strumento BTP Italia. Non solo. Anche altri dati, che non riporto per non appensantire troppo l’articolo, confermano che le disponibilità liquide degli italiani investite nei vari strumenti non hanno subito un ripiegamento tanto forte da giustificare gli allarmismi dei media.
D’altronde, ed è bene ricordarlo, i 25 milioni circa di famiglie italiane detengono ricchezza complessiva per circa 10.000 miliardi di euro, di cui quasi 5.000 miliardi di attivi finanziari, con una forte preferenza per gli strumenti liquidi quali i conti correnti bancari e postali, che cubano circa un terzo di tale valore. Siamo il quinto paese al mondo per ricchezza privata.
Se ci spostiamo sui flussi, la propensione al risparmio delle stesse famiglie superava, a inizio anno, il 12%, a fronte di redditi medi intorno ai 30.000 euro annui, tra le più alte al mondo. Quindi, in media, le famiglie italiane risparmiano 300 euro al mese.
Le stesse imprese, in larga misura micro-imprese secondo la nuova definizione comunitaria, avevano complessivamente attivi finanziari superiori ai 500 miliardi, di nuovo in larga parte investiti (o parcheggiati) in liquidità, dato in crescita da almeno 5 anni ed ai massimi storici.
Ora, lungi da me l’idea di ridimensionare l’entità di una crisi la cui gravità è tristemente sotto gli occhi di tutti e la cui natura globale determinerà sicuramente degli effetti sul commercio internazionale particolarmente gravi per un’economima come la nostra, che dovrà anche sopportare un forte ridimensionamento dei flussi turistici, dai quali molte aree del nostro paese derivano una parte sensibile delle entrate.
Mi è ben chiaro, inoltre, che ad aggravare la situazione, ha anche concorso il fatto che siano state colpite più duramente dalla pandemia proprio le aree a maggior sviluppo economico e produttivo del paese (forse, in una certa misura, proprio per questa ragione, in funzione della maggiore urbanizzazione, integrazione internazionale e aspetti di socializzazione post-industriale, non diffuse ovunque sul nostro territorio).
Ma, approfondendo in maniera spietata – e politicamente scorretta – la questione: siamo sicuri che tutti i 60 milioni di italiani e gli oltre 4 milioni di imprese operanti nel nostro paese si siano trovati in un paio di mesi in una situazione di tensione di liquidità tale da mettere al rischio il sostentamento quotidiano dei primi e la sopravvivenza economica delle seconde?
Cerchiamo ora di liberare la mente dalle giaculatorie che ci vengono proposte dai garruli conduttori e dai soliti ospiti negli stupidamente ripetitivi programmi televisivi e valutiamo nel dettaglio la questione.
Cominciamo con le famiglie: la ricchezza finanziaria media delle famiglie italiane è pari a 200.000 euro, con spese medie mensili di poco superiori ai 2.000 euro. Quindi, anche con 3 mesi senza guadagni, la famiglia media, attingendo ai risparmi accumulati “per gli imprevisti e le difficoltà” (e questo mi sembra il caso), avrebbe potuto affrontare senza problemi particolari la situazione. Certo, stiamo parlando di medie, ma chiarirò successivamente la questione.
Per quanto concerne le imprese, ugualmente, un blocco quasi totale (che si è verificato solo per alcuni settori, ricordiamolo) può certo aver generato delle tensioni col non armonico e fisiologioco dispiegarsi di entrate ed uscite di cassa, ma il sistema bancario ha tutto l’interesse a garantire ai buoni prenditori il finanziamento temporaneo di sbilanci di cassa, stanti sani fondamentali economici aziendali. Inoltre, le riserve liquide di cui sopra avrebbero potuto assorbire la carenza di entrate per la gran parte delle imprese. Poi, certo, ogni crisi porta con se vincitori e vinti: “E’ il Capitalismo, baby!” E non penso che oggigiorno siamo molti i sostenitori di un sistema collettivistico, visti i brillanti risultati del secolo scorso…
Quindi, a livello di sistema, non riesco a capire la linea seguita dal Governo, che si è sostanziata, per semplificare, in aiuti a pioggia, indiscriminatamente concessi a tutte le categorie che, da parte loro, si sono impegnate in un “Assalto alla diligenza” piuttosto indecorso e sicuramente non conveniente in quanto la priorità di tutti, all’interno del sistema paese, dovrebbe invece essere la sopravvivenza e la salute della “Diligenza” stessa, la nostra nazione e le sue finanze.
Si sta assistendo ad una corsa al trasferimento di risorse dal pubblico al privato che non mi è capitato di vedere in oltre 50 anni di vita e che determinerà uno shock sul nostro debito che, combinato con l’inevitabile calo del PIL nel 2020, porterà ad un incremento del rapporto debito/PIL sino, ritengo, al 160%.
Ora, riprendendo il discorso della medie, sono ben conscio che alcuni settori ed alcune specifiche imprese (come anche numerosi nuclei familiari) potessero aver bisogno di un tempestivo supporto di liquidità. Ma non era forse preferibile intervenire selettivamente ed in maniera mirata, per importi maggiori? E se la crisi è di liquidità e non di economicità della gestione, non si capiscono le richieste di finanziamenti a fondo perduto. A carenza di liquidità si sopperisce con il debito, magari a condizioni privilegiate, ma un contributo secco dello stato all’iniziativa privata non seleziona correttamente le imprese valide che, proprio in momenti di crisi come questo, possono essere darwinianamente selezionate.
Una cosa è l’assistenzialismo a pioggia ed un’altra è la politica industriale. Il mio timore è che la pressione delle opposizioni e delle categorie, nonchè la marea montante del malcontento generale, abbiano condizionato l’azione politica della maggioranza che ha posto in essere azioni volte principalmente a soddisfare le richieste di chi alzava di piu la voce piuttosto che cercare di comprendere appieno i fenomeni ed intervenire con forza laddove necessario.
I dati indicano chiaramente che la gan parte dei soggetti economici operanti nel nostro paese avrebbe potuto sopravvivere all’emergenza utilizzando le riserve di liquidità precostituite, limando i margini (un sesto o un quarto di fatturato perso, con corrispondente ancorchè non simmetrica diminuzione di costi non mette in ginocchio tutte le imprese, specie le sane, al di là di ogni considerazione di parte). Per gli altri, si sarebbe dovuto intervenire presto e bene, tutelando le imprese strategicamente più rilevanti ma più vulnerabili e, nel contempo, le fasce più deboli della popolazione in maniera capillare e controllata.
Io sono sicuro che una certa parte dei sottoscrittori di quei BTP Italia o di coloro che hanno fatto crescere a dismisura il proprio conto corrente abbiano ricevuto aiuti dalla collettività lamentando situazioni di emergenza probabilmente non reali.
Nel nostro paese mancano senso di responsabilità ed etica pubblica. Tutte le categorie hanno ritenuto di poter “mungere” lo Stato, non capendo che una finanza pubblica sana rappresenta un primo forte baluardo per il sistema paese e rende più agevole il felice svolgersi dell’intrapresa privata. Ma la stessa logica perversa del miope vantaggio immediato ha contagiato la politica che, sia dal lato governativo che da quello delle opposizioni ha cavalcato la protesta promettendo troppo, dando – tardi – meno di quanto promesso e sempre in maniera indiscriminata.
Si badi bene, la mia non è una posizione politica o partitica (anzi, debbo dire che spesso le opposizioni si sono lamentate dell’entità di questi aiuti, garantendo che, se in carica, avrebbero dato ancor di più!) ma una constatazione. Un paese – non da oggi – sprecone e poco accorto finanziariamente, preso alla sprovvista da una crisi di forte entità, ha reagito com’era nel suo DNA, allargando le maglie del debito in maniera irresponsabile.
Quali saranno le conseguenze di ciò? In primo luogo si dovrà sempre di più contare sul supporto europeo, unica nostra ancòra di salvezza nel finanziamento di un debito “Monstre” che, non dimentichiamolo, ci costa meno di quanto dovrebbe per il livello dei tassi calmierato dagli acquisti della BCE (e dalla neutralizzazione degli interessi sul debito di quella porzione di titoli) e per la percezione dell’Italia come parte integrante dell’economia europea. Non sottovalutiamo poi il fatto che la “Supply Chain” del continente conta su di noi e, principalmente, sulle medie imprese lombarde e venete, aspetto, questo, che spiega in maniera più opportunistica che ideale il forte supporto franco-tedesco, recentemente ribadito con gli importanti passi avanti del progetto “Recovery Fund” (e, per favore, finiamola con queste pretestuose polemiche sul MES, dettate da una perniciosa combinazione di volontà di posizionamento politico e crassa ignoranza).
Ma, prima o poi, questo almeno trentennale passaggio di ricchezza dal pubblico al privato (realizzato attraverso la colpevole tolleranza dell’evasione, del lavoro pubblico improduttivo e delle ruberie delle classi dirigenti) dovrà invertirsi a meno che tassi di crescita e di inflazione oggi difficilmente prevedibili realizzino il loro effetto positivi.
Ed allora, noi italiani, famiglie ed imprese, dovremo restituire – con gli interessi – ciò che negli anni abbiamo stolidamente sottratto al pubblico per miope egoismo e scarso senso di solidarietà. Un incremento delle tasse di successione, di quelle sulle rendite finanziarie e, forse, una Patrimoniale, potrebbero essere gli interventi di medio periodo che, per loro natura, avranno un effetto ulteriormente recessivo.
Sinceramente, temo che pagheremo molto care le mance elettorali concesse dai nostri politici, di ogni segno ed orientamento.
Fabrizio Capanna