Negli ultimi 20 anni, gli operatori del mercato dei capitali hanno visto drammaticamente mutare consuetudini, equilibri e prassi di mercato.
Concentrando la nostra attenzione sul mercato obbligazionario piuttosto che su quello, meno rilevante in termini di volumi, dei prestiti non cartolarizzati, l’evoluzione del comparto ha infatti registrato un andamento non lineare.
I mercati obbligazionari domestici sono rimasti sostanzialmente impermeabili a commistioni internazionali dalla loro nascita (seconda metà dell’800) sino alla metà degli anni ’70 dello scorso secolo, quando i successivi e dirompenti shock petroliferi hanno determinato da un lato la necessità di accedere ad una più amplia platea di investitori internazionali (con la nascita degli Eurobond) e dall’altro quella di sperimentare forme di innovazione finanziaria (in primis i titoli a tasso variabile e gli inflation-linked) più adatti alle mutate situazioni del contesto economico.
In ambito continentale, la progressiva realizzazione dell’Unione Europea ha poi favorito, insieme ai sempre più stretti rapporti tra le istituzioni finanziarie del continente, l’avvicinamento tra i mercati obbligazionari domestici e quelli dell’euromercato, che pure hanno mantenuto tra loro una certa segmentazione, discendente da una diversa normativa e da diversi circuiti di Settlement (sino all’inizio di questo millennio, non dimentichiamolo, Montetitoli non “dialogava” efficientemente con Euroclear e Cedel, poi Clearstream).
Inoltre, mentre in alcune nazioni il comparto obbligazionario era esclusivamente “Wholesale”, in altre si registrava la compresenza di un attivo e variamente regolato comparto “Retail”, a volte accentrato presso il sistema bancario o, alternativamente, presso Borse Valori, prima “alle grida” e poi, nel tempo, telematiche.
Il nostro paese ha avuto un ruolo di capofila in questo senso, stante la forte propensione all’acquisto diretto di obbligazioni da parte dei privati e la regolamentazione del sistema bancario generata dalla normativa del 1936, che individuava nella specializzazione e nella separatezza i due cardini principali del sistema. Non a caso, infatti, i sistemi retail di negoziazione di titoli obbligazionari più antichi ed efficienti si sono sviluppati nel nostro paese, segnatamente il MOT e TLX, molto più liquidi ed trasparenti delle analoghe esperienze di paesi non lontani dal nostro come orientamenti di mercato, quali la Spagna (AIAF), Belgio e Francia.
Modesto riscontro hanno avuto poi i tentativi di fusione dei due comparti (all’ingrosso ed al dettaglio) trai quali va citato almeno quello di Euronext con il progetto Bondmatch, di fatto naufragato dopo pochi anni.
Il collocamento dei titoli emessi sul mercato domestico bancario avveniva o direttamente sulla clientela da parte delle banche attraverso la propria rete o – sul mercato istituzionale – attraverso l’intervento di SIM e altri intermediari specializzati, trai quali, negli anni ’90, si sono segnalati SIGECO, CABOTO, IBF e COFILP e FIDEA, tra gli altri. Tale carta veniva spesso quotata, anche se a partire dalla metà degli anni ’90 tale prassi è via via venuta a scemare.
Sull’euromercato, invece, si era perfezionato un sistema di collocamento non dissimile da quello dei Prestiti Sindacati, con la costituzione di un Consorzio di Collocamento (e, a volte, di Garanzia) con una articolata strutturazione di sottoscrittori (Arranger, Underwriter, Lead Manager, Co-Manager, etc..). Qui la liquidità, non era certo fornita dalla frequente nominale quotazione presso la Borsa del Lussemburgo, ma veniva di fatto garantita dalle banche facenti originariamente parte del Consorzio di Collocamento, che esponevano prezzi in denaro ed in lettera sulle proprie pagine Reuters e, successivamente, con l’emergere di Bloomberg come strumento “principe” per i dealer di mercato, su tale sistema informatico, che è andato via via perfezionandosi (pagine dedicate, prezzi operativi ed applicabili elettronicamente, etc..).
Ulteriore liquidità veniva fornita da concorrenti piattaforme di negoziazione “Order-driven” piuttosto che “Quote-driven”, come Tradeweb, MarketAxess ed altre.
Le banche all’epoca, e stiamo già parlando degli anni 2000, non avevano problemi nell’ampliare i propri portafogli titoli, visti gli allora ancora non proibitivi paletti imposti dalla normativa prudenziale e dai ratio di vigilanza, oltre che dall’agevole e conveniente accesso al credito da parte di tutte le primarie istituzioni creditizie (nei primi 7 anni del decennio la gran parte delle principali banche con rating tra AA e A collocava sua carta tra +2 e +15 di spread sull’Euribor). Inoltre ha aiutato molto, in questo periodo, il rapido sviluppo del mercato dei Credit Default Swap che, garantendo una immediata e spesso puntuale copertura del rischio di credito, consentiva di ampliare a dismisura la dimensione dei portafogli obbligazionari che, di fatto, erano in larga parte, dei “Basis Books”, con i Market Maker che compravano titoli fisici contro protezione, spesso in maniera baciata. Del movimento beneficiarono anche gli emittenti Sub-Invesment Grade, con spread che, tra il 2006 ed il 2007, si avvicinarono pericolosamente ai minimi storici su tutto il settore del Credito e su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Non poteva durare a lungo. La crisi dell’autunno del 2008 (in realtà partita in maniera progressiva – per quanto asimmetrica – dall’estate del 2007) porterà ad un repentino incremento degli spread e ad un rarefarsi della liquidità che, dal settore degli ABS (Asset-Backed Securities) si spostò via via all’Investment Grade bancario, corporate ed infine Sovrano, culminando nella tristemente nota crisi dei titoli del debito dei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Un movimento di compressione degli spread durato sostanzialmente 25 anni (con brevi intervallic come quello della crisi del fondo Long Term Capital) si invertì in pochi mesi, portando, ad esempio, il CDS sull’Italia da valori storicamente oscillanti tra 11 e 14 punti base a ben oltre 500 punti base nel corso del tardo autunno del 2011. Il mercato non perdona, ed il riprezzamento di “trade affollati” è spesso repentino. Tutti i principali operatori, “Real Money”, Hedge Fund e banche, avevano di fatto la stessa posizione e si trovavano nella urgente necessità di ribaltarla, vendendo titoli su di un mercato saturo e diffidente.
L’intervento delle banche centrali mondiali e, per quanto ci concerne, della BCE hanno modificato fortemente il quadro di riferimento, inserendo un elemento esogeno e artificioso nella determinazione dei credit spread sul comparto obbligazionario. I massicci piani di acquisto di titoli prima governativi e poi anche corporate hanno sicuramente ottenuto il primario obiettivo di salvare dal default importanti economie europee e, in subordine, le relative banche, ma hanno anche determinato una manifesta distorsione del mercato stesso che ha agito su due livelli: da un alto ha abbassato il livello assoluto dei tassi per la necessità di acquisto di titoli statali secondo dei Key Capital ratio fissi e, dall’altro, ha abbattuto irrazionalmente i credit spread che solo se determinati dagli operatori di mercato in funzione del prudente apprezzamento del via via mutevole percezione del merito di credito degli emittenti, possono indicare il corretto livello di rischio dei titoli obbligazionari e selezionare così il credito concesso e l’accesso al mercato dei prenditori.
Bene, proprio quando si stava realizzando lentamente un progressivo riallineamento dei tassi e degli spread in funzione del rischio, la nuova emergenza Corona Virus ha spinto la Banca Centrale Europea a rinnovare e rinforzare i piani di riacquisto, svincolati anche da una rigida applicazione dei Key Capital ratio.
Non solo: tutto ciò nel momento in cui la crisi stessa, questa volta economica e non finanziaria, poneva oggettivamente molti emittenti di fronte ad un deterioramento del merito di credito, così come correttamente individuato dalle principali agenzie di rating, che hanno prontamente declassato o posto un Outlook Negativo su un numero crescente di emittenti.
La mole di emissioni di prenditori che potrebbero perdere lo status di High Grade (i cosiddetti “Fallen Angels”) determinerà una forte pressione sul mercato dei titoli High-Yield, che penalizzerà gli emittenti più deboli, precludendone l’accesso al mercato proprio in un momento nel quale anche i rubinetti del settore dei Leveraged Loans, fin troppo generosi negli ultimi anni, sembrano chiudersi. Non è quindi difficile prevedere un sensibile incremento dei tassi di default, sinora ancora su livelli non storicamente alti, per il 2021.
Stante la fisiologica temporaneità degli inteventi di politica monetaria, il quadro risulta quindi esplosivo sul comparto obbligazionario europeo, che ci sembra quindi, a dispetto di un minimo riprezzamento già avvenuto, ancora sensibilmente sovraprezzato. Ma mentre gli operatori qualificati possono porre facilmente in essere operazioni di copertura con strumenti derivati, i privati, attualmente sovra-esposti sul comprato, potrebbero soffrire sensibilmente. Il tutto poi, in un quadro di crescente illiquidità dovuto alla riduzione dei portafogli titoli dei market maker dovuto al “Deleverage” ed alla forte pressione delle Autorità Monetarie a incrementare la porzione dell’attivo impiegata in crediti non cartolarizzati a famiglie ed imprese rispetto a quella in titoli, riducendo così la liquidità media dell’attivo bancario stesso.
Un atteggiamento prudente consiglierebbe quindi una uscita del settore ed un incremento temporaneo della porzione di liquidità, magari da destinare un ingresso progressivo sul comparto azionario, che ha riprezzato sensibilmente, e che presenta moltiplicatori interessanti, specie su alcuni settori prospetticamente vincenti. I livelli stessi di “Dividend Yield”, per quanto probabilmente in via di riduzione per alcuni settori (bancario e assicurativo), restano ancora fortemente premianti rispetto ai benchmark di mercato storici.
Infine, e non è una considerazione di scarso momento, l’atteggiamento psicologico degli investitori nei confronti del comparto obbligazionario è tradizionalmente troppo indulgente e sottostima i rischi futuri; ciò potrebbe determinare, nel momento in cui i movimenti sopra prefigurati si venissero a realizzare, delle reazioni troppo emotive e irrazionali, che potrebbero essere mitigate da un saggio e preventivo riposizionamento tempestivo.
Il mondo sta cambiando e l’atteggiamento consigliabile è quello di una forte cautela. Gli stessi debiti sovrani potrebbero divenire tecnicamente subordinati rispetto ai futuri debiti derivanti dall’attivazione di particolari meccanismi comunitari (quali, ad esempio, il tanto citato – spesso a sproposito – MES). La strada della condivisione dei debiti sovrani, perseguita da diversi governi europei incluso il nostro, sembra difficilmente percorribile se non in maniera mediata, così come recentemente proposto dalla Francia, ad esempio. Tali evoluzioni – se non dosate sapientemente nel tempo – potrebbero avere un effetto dirompente su di una curva dei credit spread ancora non allineata – a parere di chi scrive – rispetto ad un quadro macro-economico fortemente deteriorato.
Fabrizio Capanna